In data 10 marzo 2016 ho conseguito la laurea magistrale in Psicologia a Torino. Un attracco dopo un viaggio di 5 anni.
in mezzo a questo viaggio mi sono sposato, io e Francesca abbiamo messo al mondo due bambini, ho mollato un contratto a tempo indeterminato ed avviato tre nuove attività da libero professionista.
in queste tre righe le dita mi si affaticano al solo battere i tasti, una compressione di emozioni e fatiche scarnificanti.
Voglio decomprimere questo nugolo di intersezioni ricordandomi che la storia di ognuno è fatta di persone e incontri e questo, per l’ennesima volta, è ciò che conta e fa la differenza.
Ci sono persone ovunque protagoniste, inconsapevoli portatrici di eventi drammaturgici. Nella calda e accogliente estate di Marsala del 2010 Amalia dopo averci fatto spiaggiare dal cous cous della madre spulciavi con noncuranza le informazioni per iscriverti a ingegneria, una tua possibile seconda laurea. Io ti guardo, guardo Francesca e capisco che è giunto il momento di chiudere una partita aperta molti anni prima: voglio iscrivermi a Psicologia.
La partita era cominciata in un’altra estate marina, il 1997, su una spiaggia adriatica del Lido di Cavallino. Io imberbe obiettore di coscienza nel delirio del mio periodo ideologicamente più intransigente e rivoluzionario dovevo fare i conti con la questione lavoro università, dopo aver spumeggiato in deliri di onnipotenza di salvazione della terra con il mio servizio civile e una vita presa a piene mani in ogni frammento.
A cosa mi iscrivo? Sì e con quali soldi, con quale lavoro mi potrò sostenere gli studi?
Avevo dentro questa forbice….Scienze dell’Educazione o Psicologia?
Enrico (in questo caso regista molto consapevole) mi semplifica in modo lapalissiano questa scelta: mi offre un lavoro da educatore al termine del mio servizio e io mi iscrivo a Scienze dell’Educazione, non fa una piega. Era quello che stavo facendo.
Già era quello che stavo anche “agendo”; ho imparato dopo anni di lavoro, di studi e terapia il significato di questo termine.
Perché da qualche parte quella scelta a “Y”, digitale, o “0” o “1”, tanto tipica della nostra cultura occidentale non mi aveva guardato nella mia integrità.
Non aveva guardato per esempio a quell’altro tratto di storia di me adolescente che mi facevo prestare i manuali di psicologia dalla mia ragazza Elsa che faceva lo psicopedagogico. Li divoravo perché nel frattempo avevo “smesso” di studiare ragioneria. No, no, non avevo mica abbandonato. In quarta superiore vivevo di rendita delle secchiate e fatiche degli anni precedenti, e mi trovavo a detestare ogni singola riga di ciò che fosse numero, soldo e contabile. Mi divorai “sogni,ricordi e riflessioni” di Jung.
Non ci capii una mazza, sia chiaro, ma il mio animo era sprofondato in un abisso senza tempo, intuivo che io ero da un’altra parte, molto lontana da lì.
Sono riemerso, ho lavorato, ho studiato sono andato avanti a testa bassa, senza fermarmi. Mai.
Di mare in mare bisognava però poi attraccare nella landa della Pianura Padana per proseguire questo viaggio e nell’autunno 2010 mi trovo a fare il test di ammissione a Psicologia a Pavia: 150 posti per 500 anime iscritte….mi sono trovato pertanto in biblioteca a studiare test di logica con i coetanei di mio nipote Alessandro (classe 1991). Già solo qui temevo che fossi fuori tempo e che avessi preso un grosso abbaglio.
Ma infilo un 76° posto (la mia classe 1976) e comincio a far visita a Pavia qualche volta al mese per capire dove sono finito e che diamine dovrò inventarmi per studiare, trovare libri appunti in mezzo al mio lavoro e ai preparativi del mio matrimonio.
Mi accorgo per la seconda volta di essere fuori posto perché i miei colleghi mi trattano come un vecchio, a cui si da del lei e del riserbo per buona educazione. Se provo a scambiare mail e cellulare passo per marpione…insomma stallo!
In questo vicolo cieco entra in gioco Fabiola che letteralmente mi soccorre e rompe l’incantesimo rivolgendomi la parola! Mi trasformo da Orco pederasta in compagno attempato di studi con il quale si può addirittura parlare e scherzare!
Fabiola mi sommerge di aiuti e informazioni che non avrei mai potuto recuperare in altro modo: siamo nel terzo millennio ma ancora l’Università non è una scuola per lavoratori. Che amara condizione: tutto il sistema da per scontato che tu non hai altro da fare che l’Università come studente. Per carità, anch’io ho sempre sognato di fare “solo” l’universitario per poter seguire le lezioni, i seminari, approfondire…vivere l’Università come un’esperienza culturale a tutto tondo. Ma è altrettanto chiaro che per poter fare questo ci vogliono soldi, e in Italia significa mamma e papà che sborsano. Per cui trovi poi docenti che ti trattano come bamboccione viziato a cui indispettiti chiedere fatiche inutili aliena da qualsiasi finalità didattica.
Quindi senza Fabiola Pavia mi sarebbe costata il doppio della fatica e del tempo.
Non finisce qui, perché in prossimità del terzo anno caro Federico ti inserisci tu, a solleticare il mio ego e la mia voglia di affrontare sfide: passare alla laurea magistrale sommando un certo numero di crediti senza laurearsi alla triennale, unico posto di Italia dove si fa è Torino. Sappiamo già la risposta a questa sfida. Ci mettiamo in macchina e facciamo questo viaggio Sesto Calende-Torino per fare questo colloquio proforma ed iscriverci alla magistrale. Magistrale quel giorno c’è stato solo il nostro solito numero dove ci siamo inventati un’equipe fasulla per passare davanti a 60 candidati. Se l’Università non aiuta i lavoratori…eh…insomma! 😉
Poi tu Fede hai cambiato percorso, ma il colpo me lo hai fatto fare tu perché ora altrimenti avrei probabilmente una laurea triennale che sarebbe valsa come il 2 di picche come quando comanda cuori a briscola.
Torino bella, ma dista 150 km da casa, che nel frattempo è tornata ad essere Tradate, siamo sposati e c’è Diego, il nostro primogenito. Impensabile frequentare, l’Università non è un paese per genitori. L’empatia dei docenti che si attengono al regolamento in qualsiasi caso è un bell’esempio di legalità ma per l’ennesima volta o mamma e papà pagano o se sei papà tu le cose si complicano un po’.
Quindi vado 1 volta a lezione e tento il tutto per tutto: trovare il maggior numero di contatti possibili per avere info e materiali. Sì avete letto giusto: 1 volta.
In quella giornata l’empatia continua a regnare sovrana (ironicamente) anche se è leggermente meglio di Pavia, probabilmente comincia ad esserci qualcuno intorno a te che (udite udite) Lavora!!!!
Niente però, quando si tratta di scambiarsi numeri e mail si avverte sempre quel formale contegno (“ah sì certo rimaniamo in contatto”frasi che manco le ex hanno più il coraggio di dire) con cui viene scivolato via.
Ho perso le speranze e mi chiudo nell’aula più buia e penosa della mia carriera a seguire la lezione di un sociologo istrionico a un passo dalla pensione (parteciperò poi alla sua ultima sessione di esame) che alle 6:30 di sera non è proprio ascoltabile, perchè leggere in classe il proprio testo manoscritto è qualcosa che è dir poco narcisistico.
Le battute volano in fondo alla classe per poter resistere alla tirannia della didattica del libro Cuore e sono l’occasione per attaccare bottone con le compagne di sventura.
“Ciao mi chiamo Erica”
“Di dove sei?”
“Venegono Inferiore”
Ho smesso di respirare. Dentro di me vedevo i 150 km zipparsi come in un film surreale, strade che si piegano come Inception e diventano 5km!
Il classico gol ai minuti di recupero. Senza questo gol anche qui non saprei cosa avrei fatto. Grazie a Erica Torino diventa un’esperienza possibile, talmente possibile che addirittura per un certo tempo tengo addirittura il passo di uno studente.
Ma nasce anche Marco, io praticamente faccio 3 lavori e arriva il momento di confrontarsi con un altro mostro mitologico dell’Università italiana: il Tirocinio!
Ora, capiamoci bene, che gli studenti facciano esperienza sul campo ce n’è di bisogno Io sarei addirittura per rendere obbligatorio lavorare e studiare. Soprattutto a una magistrale. Ecco però lavorare. c’è di solito sempre la questione del soldo che ne dite?
Invece il tirocinio italiano è lavorare gratis per 25 ore a settimana per un anno, contenti?
Puoi farlo dove lavori? No, sia mai! Lo studente non sia mai un lavoratore!
Paga le tasse, fai belle esperienze ma poi se lavori non venirci a rompere.
Qui scende sul tavolo l’asso che cambia la partita. Io ho finito tutte le risorse e sto per mollare tutto, non ho scelte…
L’asso è Francesca (la tutor d’ora in poi per distinguerla dall’altra Francesca) che diventa la mia tutor di tirocinio e mi permette di salvare capre e cavoli. Una specie di intervento da supereroe. Incamero queste 1000 ore (che per reiterare il concetto italiano di Università nessuno si è mai sognato di controllare) e posso far partire la barca per l’ultima tratta: la tesi.
A questo punto facciamo il riepilogo, sono sposato, ho due figli, tre attività da libero professionista appena avviate e nemmeno vicine geograficamente tra loro. Come ciliegina sulla torta due di queste attività comportano la ristrutturazione di due spazi: uno da 60 m2 (terminato) e uno da 170 (modalità Duomo di Milano ON). Le energie più che scarse sembrano andare in segno negativo e collasso.
A questo punto l’ultimo personaggio compare per la sfida finale: la professoressa Tatiana. Chi è Tatiana? Diceva uno sketch da cabaret di qualche anno fa. Tatiana è in estrema sintesi l’unica professoressa disposta a prendermi in tesi prima del 2020.
Non è un’esagerazione, perché le altre porte che busso hanno questo cartello scritto fuori. L’università non è per i lavoratori ma neanche per gli studenti se poi devi “pregare” per poter laurearti nei tempi che in teoria sono dovuti per legge.
Nel frattempo a Torino ha chiuso il mio indirizzo “Sviluppo ed Educazione”. Esattamente l’anno dopo che mi sono iscritto. Un segno.
Un segno che mi permette di farcela , un segno che rappresenta quanto poco conti e conti sempre di meno l’Educazione. Apre Criminologia, un boum di iscrizioni. D’altra parte questa è gente che può andare in Tv. Tv uguale Soldi. Educazione uguale….
Tatiana oltre ad essere l’unica professoressa di Psicologia a prendermi in tesi è anche un essere umano. Ascoltate bene, sì, ascolta la mia esigenza di padre e lavoratore e capisce che non ho nessuna pretesa accademica, quindi mi lascia libero di fare un lavoro solo “discreto” mettendoci il suo nome sulla mia tesi. Complimenti.
In un mondo di prime donne e vanagloriosi della firma incontro una donna, vera, punto.
Senza tutte queste persone non sarei arrivato qui.
La vita è storia di persone. Le persone sono la nostra storia. Amen
P.s. sì ebbene sì, ho parlato di “Gender” durante il discorso di presentazione alla commissione, ho potuto farlo!
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