Recentemente un post di Pieraccioni (Facebook: Leonardo Pieraccioni Pagina Ufficiale) ha riportato alla ribalta il tema delle percosse in ambito educativo. Il regista toscano sostiene che di fronte alla dilagante maleducazione bisognerebbe ritornare ai c…i in c…o per poter ripristinare valori e rispetto.
I social si sono riempiti di molte espressioni a favore di questa educazione cosiddetta “tradizionale”.
Anche la trasmissione “Quinta Colonna” andata in onda il giorno 11/09 (alla quale ho partecipato in collegamento diretto) ha cercato di animare il dibattito sulla questione.
Come psicologi e pedagogisti proviamo a mettere in discussione alcuni luoghi e comuni.
“Due sberle non hanno fatto mai male a nessuno”
L’utilizzo di percosse occasionali (senza che sfocino in violenza psicologica e fisica ordinaria) ovviamente non determinano automaticamente traumi e disturbi dell’evoluzione delle persone.
Ma questo non significa che non facciano “male”. Il minore che riceve una sberla è come se ricevesse una “bomba che esplode in faccia” (Cit. Pellai: Nella pancia del papà (Franco Angeli Editore) lasciando una traccia indelebile di rabbia, vergogna e umiliazione. Il bambino si trova di fronte a un gesto totalmente incomprensibile. Nella logica dell’accudimento, colui che lo deve proteggere dai pericoli del mondo viola il suo corpo usando la sproporzione della propria forza per ripristinare l’ordine. Qualsiasi possibilità educativa rispetto all’accadimento (infrazione di una regola, capriccio, litigio tra fratelli…) viene cancellata e sostituita dal dolore fisico e dalla vergogna di sentirsi così sbagliato da meritare le botte.
Nessuno di noi ha un ricordo positivo rispetto alle percosse che abbiamo ricevuto da bambini. Possiamo fare meglio delle generazioni che ci hanno preceduto senza giudicare nessuno: ci sono altre strade per poter crescere tutti insieme in umanità.
“Sono i bambini che arrivano a chiedertele”
In realtà quello che accade è che le punizioni corporali arrivano quando la frustrazione e l’esasperazione dell’adulto sono talmente alte che non si riesce a mantenere il controllo e si sfoga la propria rabbia in questo modo.
Bisogna però tenere conto che tale frustrazione spesso non è neanche generata dai bambini ma dallo stress lavorativo, da conflitti relazionali con i colleghi, con il partner…
A volte invece sono le situazioni con i nostri bambini che ci portano a questo limite, ma l’importanza di imparare un autocontrollo delle proprie manifestazioni emotive è un compito richiesto a qualsiasi genitore. Dirsi che è qualcosa “voluto” dagli stessi bambini è la giustificazione intellettiva che ci diamo perché in realtà sentiamo nel profondo di aver fallito.
Dai fallimenti comunque si può imparare che certe situazioni si possono evitare e limitare, costruendo delle relazioni con i nostri figli basate su regole e tempi precisi a misura dei bambini e non solo nostre.
Se, per esempio,di fronte a richieste pressanti e insistenti dei bambini basate sul “Lo voglio subito” noi genitori reagiamo immediatamente innervosendoci e continuando a reiterare dei bruschi e sintetici “no” questa situazione ha alte possibilità di generare un escalation verso l’esasperazione.
E ricordiamoci: Nessun essere umano sano di mente vuole essere picchiato!
“Le botte funzionano eccome, dopo sono tutti buoni ed ubbidiscono!”
Si ha la sensazione superficiale che dopo una percossa la situazione generale si ristabilisca e i bambini ubbidiscano a quel punto senza più fiatare.
Innanzitutto spesso non accade questo, se ci troviamo con bambini molto piccoli, l’uso delle botte innesca una situazione spesso altamente più caotica e disperante in quanto i piccoli non hanno gli strumenti a disposizione per gestire l’enorme fatica di quello che sta accadendo.
Se invece le acque si calmano, questo fenomeno è maggiormente legato alla paura di altre percosse piuttosto che all’interiorizzazione della norma violata o del comportamento punito.
“Le botte sono uno strumento educativo, chi non le usa fa fare ai figli quello che vogliono!”
Non usare le percosse come strumento ordinario di risoluzione dei problemi non significa togliersi dal ruolo di genitore autorevole. Anzi significa assumerselo a pieno titolo, facendo molta fatica a conservare la severità e la disciplina delle regole condivise, anche quando siamo messi alla prova. Ma è con questa coerenza e con un amore fatto di ascolto e attenzione che si conquista l’autorevolezza per cui in alcune situazioni basterà lo sguardo e una parola precisa e determinata per ottenere buoni risultati.
Solo agendo così forniamo strumenti ai nostri figli per imparare a gestire essi stessi la rabbia e la frustrazione, altrimenti insegneremo loro che usare la violenza è la strada per risolvere i problemi: e allora si sentiranno legittimati a farlo con i fratelli, a scuola, quando saranno grandi…
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.